Crisalide




"Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere essere niente.
A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo."
(Fernando Pessoa)

(I)

Chi strinse la vita
contenendone gli empiti
ora vita non è.
È appena un soffio,
forma perfetta,
il cui alito volò via
da una vena segreta
per lasciare a noi
l'illusione
di un'integra utopia.
 

(II)

Sanguinano sempre
le rose divelte,
ma ancora più giace
nel dolore
la mano che impose
le sue drastiche scelte,
crisalide mia,
costringendo
le spine
in impavide spade.
Quei fasti passati,
ora, ho qui
nella mano
come devote chine:
hanno di labbra
il colore,
e di gote tue
il velluto.

 

(III)

Crisalide,
fragile creatura,
saprai lasciarti
cadere sull'asfalto
senza tremare di schegge...?
La piuma tua truccata
d'armatura fu
le nostre sere
di baci e di carezze,
l'alto volo finito
sulla spuma delle maree.
Nessuno può sfiorarti,
se non le mani
di chi solo,
con le proprie idee,
tradì il domani
fingendosi eterno
sino a divenir lo.

 

(IV)

Non è impossibile
inventare la chiave
che diradi le tenebre,
giacché il mio canto
è metallo fuso
e il tuo corpo
flebile materia.
Nelle tue veni, sai,
si agita il mio sangue,
e illuso è chi intende
dimostrarmi l'illusione.
Io posso credere in te,
crisalide, ai raggi del sogno
filtrati dal tuo corpo;
quel che rimane
delle promesse umane
lo dono ad un alito di vento,
affinché le allontani da noi,
che di promesse
rischiammo di morire.

(V)

In quale angolo
poserai le ceneri,
mia dolce ipotesi?
Cercherai forse
le mura e le siepi
per non volare,
o il sogno dei poeti,
distesa pianura
percossa dai venti?
Sinché il lume
agiterà le ombre
tu rimarrai illesa;
poi la sera fluirà rossa,
recando con sé
lo spettro biondo
e l'oscuro
divorerà ogni mia fibra.
Dove poseremo le nostre ceneri
sarà allora la nostra unica scelta,
mia realtà irrivelata,
fuggendo insieme
silenti come sogni,
dal tempo che inesorabile
piove.

(VI)

Chi ci vuole lontani
ignora le norme
del nostro tempo,
non sa che le sole
parole erigono il tempio,
che il peso dei gesti
ne è materia enorme.
E se le onde
distruggono le pietre,
ed il vento erode
i resti, perdendo le forme,
quel bacio antico
mantiene il suo splendore,
oltre le tempeste,
giacché sordo
ne sentirei sempre l'eco.
Non una parola
dunque, sulle ore fuggitive,
altro è
da ogni cosa
il mio ricordo
di te.

(VII)

Ti capita mai
di perdere lo scopo
della propria ricerca?
Di on sapere più
con quale terra sporcare i propri piedi?
Poi le forze vengono meno,
a volte manca il fiato,
e la landa
non offre più riparo.
Vedi, io credo di sapere
quale è il mio sentiero,
la grande strada
oltre il faro,
ma da solo
il passo soffre,
e nessuno vi è
a detergere il sudore
dalla fronte.
Mi auguro che con te
il sole sia più clemente.

(VIII)

“Epilogo”
Ti dissi mai
come la pioggia mutò
il suo lamento
in applausi quella sera,
quando poggiando
le labbra sul cuore
mi sussurrasti
un vento migliore
per fugare le nubi.
Ti scrissi mai
il terso cielo
che al mattino mi apparve,
e come diversa era la vista,
l'udito inconsueto?

Forse rimase segreto,
intatta sfera.
Ora che tutto sembra finito
ti dico del cielo e della pioggia,
sì che al calare della sera,
divisi dal tempo e dallo spazio,
un dito passeremo sulla labbra,
e quello sa il nostro bacio
aldilà dell'esistenza,
splendendo in un bagliore
l'intera oscurità.

9 giugno/6 luglio 1996

English version

 

 

 


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