Grace Nono. Roma, Luglio 2013 |
Sono trascorsi quasi vent'anni da quando iniziai a frequentare la
comunità filippina a Roma e a conoscere la loro musica; era l'epoca pre-social,
per lo più trascorrevo il mio tempo in un sito di file sharing scaricando a
caso canzoni dall'Asia, tra cui moltissime dalle Filippine, senza comprendere
una sola parola, ma per me la musica è sempre stata più una questione di pancia
che non intellettuale: ciò che deve piacermi e colpirmi sono i suoni, le
melodie, le voci più che le parole, perciò non è mai stato un grande
impedimento l'incomprensione dei testi. È così che conobbi la musica di Grace
Nono, un'artista non troppo celebre tra gli stessi filippini, ma dalla voce
molto calda e dalle melodie etniche.
Il caso volle che, nel luglio del 2013, Grace fosse ospite a Roma di
una mia cara amica la quale, sapendo la mia ammirazione per la cantante, mi
invitò a conoscerla. Trascorremmo delle ore piacevoli nella bella casa della
mia amica Chato, immersi nel suo giardino selvaggio che pareva di essere in una
foresta filippina, cogliendo inoltre l'occasione per fare dei ritratti a Grace.
Lei aveva portato con sé il suo ultimo libro con dei cd musicali e fu
il suo regalo per noi. Io le avrei poi regalato, grazie a Chato che tornava in
Filippine, uno dei suoi ritratti ingrandito e messo in cornice con dedica.
Questi sono gli incontri magici che mi fanno ringraziare ogni giorno la mia passione per la Fotografia.
Quel libro è rimasto nella mia testa per anni; ho spesso avuto
l'intenzione di parlarne ma non c'è stata mai la giusta occasione.
Ma guardando i miei ultimi due post mi è sembrato che fosse venuto il
momento. Che cosa hanno in comune il racconto sulla Cambogia, il Pansori
coreano e il libro di Grace Nono? Gli spiriti.
La storia cambogiana era quasi una storia di fantasmi vera e propria,
mentre, a proposito del recital musicale coreano, accennavo a Jin Chae-seon,
considerata la prima donna ad essersi esibita nel Pansori, nata in un villaggio
di pescatori da madre sciamanna.
Non è difficile immaginare dunque quale è il tema del libro di
Grace Nono. Non proprio gli spiriti ma
di certo il legame con il loro oltre-mondo.
Si intitola: “Song of Babaylan – Living voices, medicines,
spiritualities of Philippine ritualist-oralist-healers”, pubblicato
dall'Institute of Spirituality in Asia, nel 2013.
Un tomo corposo di quasi 400 pagine, ricco di fotografie e testi di
canzoni sacre. Perciò mi è impossibile parlarne a fondo, ma volerò rasente come
una libellula sul pelo dell'acqua.
Attraverso questo lavoro Grace si racconta anche come donna e come
artista. E dalla sua infanzia si comprende come fosse predestinata non solo
all'arte ma anche a scrivere, un giorno, questo libro.
“Kabunyan” di Jordan Mang-osan, 1998 |
Innanzitutto chi sono le Babaylan?
Citando l'antropologo e studioso di tradizioni popolari Francisco
Demetrio, Grace Nono riporta la fitta nomenclatura riferita alle diverse
etimologie del termine a seconda dell'area geografica a cui si fa riferimento.
Dalle bailan o balian in Visaya, Cebu, Bohol, Palawan e
Mindanao del Nord, babailan in Negros, balyan tra i Negritos;
anche tra i Dayak del Borneo le sacerdotesse-sciamane vengono chiamate bailan,
mentre in Kelantan, in Malesia, si chiamano belian bomor. La lista della
nomenclatura continua. Tracciando l'utilizzo del termine babaylan dal
1700 fino al Diciannovesimo secolo, nei dizionari compilati dagli spagnoli,
Gace Nono riporta tra le prime definizioni quella di Padre Juan Felix de la Encarnación
nel suo Diccionario bisaya-espanol del Diciottesimo secolo: “sacerdotisa
entre los idolatras”, ovvero la donna che conduce rituali magici tra chi
adora gli idoli. Il fatto che si sia usato il termine sacerdote o sacerdotessa,
significa che poteva essere stato un ruolo sia maschile che femminile, anche se
c'è chi, come lo psicologo e storico dell'arte Luciano Santiago, spinge l'idea che il termine babaylan
venga dal tagalog “babae lang”, ovvero “puramente femminile, solamente
donna”.
Comunque, ciò che accomuna ogni definizione, in ogni dialetto delle differenti zone delle Filippine, è il riferimento a colei che lavora a contatto con gli anito (gli spiriti), celebra rituali sacrificali ai diwata (divinità) o agli umalagar (gli spiriti degli antenati). È importante notare che nel Tagalog non esistono i termini bailan o balian, pertanto è forte l'idea che il termine babaylan sia stato introdotto in Filippine dal Malayo, o da qualche altra lingua indo-malese.
Lake Sebu, 2009. Foto di Maria Todi |
Il lavoro di Grace Nono analizza i babayalan di diversi gruppi
etno-linguistici, le esperienze e le canzoni dei guaritori orali, percorrendo
un cammino che va a ritroso verso le proprie radici e gli antenati e nello
stesso tempo nel profondo dell'anima dove avviene l'incontro tra umano e
divino, non nel modo dogmatico e cerebrale delle religioni classiche, ma come
parte della vita delle persone che la vivono, con i loro miti, proverbi, e
codici orali che si tramandano da generazioni. Proprio il timore di perdere
questo enorme patrimonio non scritto ha spinto Grace a lavorare per ben sette
anni a questo libro, aiutata dall'ISA – l'Istituto di Spiritualità Asiatica,
perché come scrive Reverendo Christian Buenafe, Commissario Generale e membro
dell'ISA nell'introduzione del libro, la guarigione è ciò di cui abbiamo
bisogno in questi tempi di divisione, fratture e disagi psichici, e studiare i
guaritori tradizionali aiuta a comprendere chi siamo noi stessi.
È così che apre il libro Grace, proprio raccontando la sua infanzia, a
proposito del fatto che abbia terminato questo lungo lavoro a poco tempo dalla
morte dell'amata madre Ramona; e che la scrittura, seguita al lungo studio, sia
stata la sua medicina e cura per il profondo dolore di questa perdita.
Lei racconta un episodio della sua infanzia, nella città di Bunawan, in
Agusan del Sur nel Nordest di Mindanao, a sud delle Filippine: era sera e
giaceva malata nel letto nel piano superiore della loro casa, quando sentì suo
padre Igmedio chiamare il suo nome dal cortile in basso. Ma non era rivolto a
lei bensì urlava il suo nome rivolto verso il cielo della notte; quando poi
Grace gli chiese che stesse facendo, il padre le rispose che stava invocando la
sua anima affinché tornasse indietro affinché potessi guarire.
Il padre, di origine ilocane, non era un babaylan, ma la sua vita era
parte di quel sistema di credenze per cui gli spiriti erano in grado di
catturare le anime e i babaylan potevano trattare con loro affinché
restituissero quelle anime guarendo dalle malattie.
Grace rivendica con orgoglio le sue origini di discendenza indigena, da
parte di madre, una nativa dell'isola Camiguin, un tempo abitata dai
proto-Manobo di Mindanao, e da padre ilocano di Nueva Ecija in central Luzon,
dal nord al sud delle Fillippine. Cresciuta con una forte educazione cattolica
fu costretta dalla madre a cantare fin da bambina, ma quando espresse il
desiderio di diventare sacerdotessa il sacerdote le rispose che nella chiesa
Cattolica le donne non potevano diventare sacerdotesse.
Perciò si iscrisse nella High School di Arte a Luzon, dove conobbe la
storia delle babaylan, riempiendo di entusiasmo i suoi 15 anni, tanto che
divenne argomento della sua tesi di diploma. Dopo il college, invece di
diventare un'insegnante come sua madre, avviò la sua professione di cantante,
copiando all'inizio lo stile occidentale come una “buona filippina educata”,
scrive con ironia. Ma non impiegò molto tempo a capire quanto fosse insensato
copiare uno stile non proprio, e fu in un suo viaggio di ritorno tra le
montagne delle province di Davao e Bukidnon che entrò in contatto con le
babaylan e con canzoni di cui ignorava completamente l'esistenza.
Questo la spinse a laurearsi nell'Università delle Filippine proprio con una tesi sulle tradizioni orali e a diventare la cantante simbolo delle profonde tradizioni etniche e mistiche delle Filippine.
Il libro raccoglie dieci storie di babaylan lungo tutta l'isola, con
interviste e alcune della canzoni trascritte. Ognuna di queste sciamane ha un
proprio canto rituale.
Leggere le interviste è assolutamente interessante, ed è impossibile
renderne conto in questo mio breve scritto.
Il più delle volte sono donne anziane, con alcune allieve di poco più
giovani che erediteranno quel sapere orale che altrimenti andrebbe perduto.
Come la prima babaylan intervistata, la andadawak Aragoy
Tumapang, esperta nel canto Dawak in Tabuk, il capoluogo della regione Kalinga,
nella Cordillera di Luzon, nel nord delle Filippine. Con lei c'è Gammay Ammakiw
che sta apprendendo la tecnica Dawak nei rituali di guarigione.
Come lei racconta a Grace, quando raggiunge la trance (paramag)
durante l'esecuzione della Dawak, il suo corpo inizia a perdere sensibilità e
si espande in qualcosa più grande di lei stessa: “Forse il mio arungan
(lo spirito protettore) entra dentro di me, rendendomi più grande e forte di
quanto sia in realtà.”
Con questa forza possono issare e scaraventare in terra anche maiali
enormi, posseduti da una forza sovrannaturale che le aiuta a curare le persone
malate.
Questo è un breve estratto di una canzone Dawak chiamata “Aragaoy's
Owab”:
“Fuyy! Sei tu, aggasang*,
con i tuoi poteri forti?
Sii sulla tua strada adesso,
vai lontano sulla montagna
se sei stato tu a causare
la malattia di questo bambino”.
Immagine di una babaylan in Puerto Princesa. Palawan, 2006. Foto di Charles Wadang |
Oppure, scendendo nel sud della Filippine, nella regione autonoma
islamica chiamata Bangsamoro, a Datu Odin Sinsuat in Maguindanao, con
l'incredibile storia della patutunong Babo Samida esperta nel canto
Daging. Questa area è da sempre la roccaforte dell'Islam in Filippine, fin da
quando contrastarono il governo colonialista spagnolo nel 1600, coalizzandosi con
i Maranao, Tausag e altri gruppi islamici.
In questo contesto di forte opposizione alla predominante cultura
d'importazione, la salvaguardia delle antiche tradizioni ancestrali assunsero
un valore aggiunto, anche perché per decenni la religione dominante di
Maguindanao fu una sorta di folk Islam, che però diverrà col tempo
sempre più ortodosso, grazie all'influenza degli ustadz, gli insegnanti
dell'Islam.
E proprio uno ustadz è il marito di Babo Samida, e questo porrà loro
due in continuo contrasto, laddove il marito rifiuta tutto ciò che è
considerato pre-islamico, ma d'altro canto la moglie non è assolutamente
intenzionata a rinunciare a quelle che sono le sue credenze che vanno indietro
nel tempo e sono ancorate alle credenze ancestrali, pur rimanendo nel solco
segnato dall'Islam, perché come racconta l'anziana guaritrice, gli spiriti sono
creature di Allah e vanno ascoltate. Così, mentre la comunità religiosa
islamica ortodossa boicotta i festival rituali come il dundang, Babo
Samida si rifiuta di curare gli ustadz che la cercano quando poi si ammalano.
Come dice Faisal, un novizio patutunong di Babo Samida: “La
modernità è l'altra cosa che ha contribuito all'emarginazione delle nostre
tradizioni. Poiché le tradizioni sono viste come arretrate, le famiglie hanno
smesso di insegnare la nostra tradizione ai giovani. Quindi, molti in questa
generazione non capiscono più queste cose”.
Essere una patutunong, una guaritrice, non è stata mai volontà
sua, dice Babo Samida, bensì il volere di Allah, e lei è felice di poter
aiutare a guarire le persone, così come tramandare le antiche usanze del suo
popolo.
Questa è una bellissima invocazione Daging dedicata ad Abramo.
“Nel nome di Allah,
l'Altissimo, e del profeta di Allah...(con) questa barca
renamentaw* che ora spinge in avanti,
è il mio desiderio profondo e chiaro
che porterai verso
il vasto oceano, tutte le
malattie e i crepacuore
tra i seguaci del profeta”.
Maguindanao patutunong Samida Tato, Quezon City, 2005. Foto di Grace Nono |
Sapia Mama (al centro) per la cui guarigione (così come per suo nonno) veniva eseguito il rituale del dundang. Datu Odin Sinsuat, Maguindanao, 2009. Foto di Grace Nono |
Dopo Babo Samida, Grace raggiunge Batangas e la subli matremayo
Ka Mila di tradizione cattolica, Manobo bayalan Lordina “undin” in
Agusan del Sur, e altre ancora, ognuna con la sua storia e le sue canzoni.
C'è anche la presenza maschila, come per l'ibalaoi mambunong
Henio Estakio, del gruppo etnico ibaloi in Baguio City nel nord delle
Filippine.
Ovviamente, questo è un argomento che può interessare più i filippini
che forse ignorano questa parte della loro tradizione che rimane in ombra.
Ma credo che posso essere importante anche per ognuno di noi.
Del resto, come ha scritto Grace Nono, questo lungo lavoro di anni è
stato un modo di conoscere in profondità la sua anima, e nello stesso tempo
curare la ferita della perdita dell'amata madre.
Questi canti si rivolgono direttamente agli spiriti, creano un legame invisibile tra loro e noi, parlano a quella zona oscura che – nella credenza di queste guaritrici – è la causa delle nostre malattie.
Minang Saling in abito Tagbanua balayan. Aborlan, Palawan, 2006. Foto di Charles Wandag |
Cebuano-Visayan sinuog leader/ritualist Estelita “Inday Titang” Diola. Mabolo, Cebu City, 2006. Foto di Grace Nono |
Io penso sia questo il punto più importante: non recidere o ignorare
quella parte oscura e misteriosa che risiede dentro di noi; dialogare con essa
è la via per non cadere vittima delle sue aggressioni.
Come insegnava la psicoanalisi di Freud, che non è poi così distante
dalla pratica sciamanica, la via dalla guarigione dalla nostre paure e nevrosi
è proprio quella di dare un nome a quelle paure.
La cura passa attraverso il canto e la parola.
Chiamarle, dialogare con esse, non lasciarle nella loro ombra
pericolosa, ma tirarle fuori dalla loro tana per poterla allontanare, come gli
spiriti soffiati via dalle babaylan filippine.
Riconoscere le nostre ferite è l'unica via per diventare guaritori di
noi stessi.
Come scrive Grace a conclusione del libro, nelle ultime righe, questo
percorso non è stato assolutamente facile, e per ben due volte si è ammalata
stando a contatto con le babaylan, senza che i dottori di medicina occidentale
fossero in grado di curarla. Perché la realtà di queste guaritrici è quello
degli spiriti, e non sempre essi sono benevoli: può essere estremamente
pericoloso interagire con loro.
È facile essere affascinati dall'apparenza magica e spettacolare dei
loro riti, ma ciò che più conta è “lo stato del cuore, della mente e
dell'anima. Alla fine, abbiamo tutti bisogno di una guida e incoraggiamento per
scegliere la via dell'amore e della compassione”.
Chiudo con la splendida preghiera di Vescovo Kenneth Cragg, con
cui la stessa Grace termina la sua introduzione.
Io e Grace |
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