“Il segreto della felicità è che non accada nulla.”
(Saul Leiter)
Vivere per due anni in Malesia mi ha dato
la possibilità di acquistare nuovi libri e conoscere autori di difficile reperibilità
in Italia.
Due fotografi che sono stati tra i migliori
acquisti sono stati di sicuro Saule Leiter e Daido Moriyama.
Ma è soprattutto con Saul Leiter che è nato
un amore intenso. Non lo conoscevo per niente, e già il tipo di libro attirò la
mia attenzione, nelle visite mensili alla mia libreria preferita a George Town.
“All About Saul Leiter”, con una copertina
e un formato che sembrava più un romanzo giapponese che un libro di fotografia.
Io non credo che il formato digitale
sostituirà mai la lettura fisica dei libri, e in cuor mio spero ardentemente di
no, perché il piacere e la sorpresa che si prova quando si sfoglia per la prima
volta un libro non ha eguali.
È stato il classico colpo di fulmine.
Ho potuto trovare solo due libri su di lui,
questo e “In My Room”, sui ritratti e i nudi di donne in bianco e nero. Ma è
“All About Saul Leiter” che consiglierei a tutti quanti di comprare: è un
capolavoro, per le fotografie, lo stile del layout, l'essenzialità, le
citazioni usate a raccontare chi era Saul.
“Parade”, 1954 & “Don't walk”, 1952 |
Non vorrei qui dilungarmi sulla sua storia,
si trovano molti articoli scritti su di lui, e anche un film documentario molto
bello: “In No Great Hurry: 13 Lessons in Life with Saul Leiter” di Tomas Leach,
del 2012.
È sufficiente accennare che nacque a
Pittsburgh nel 1923, e che a 22 anni, nel 1946, abbandonò gli studi teologici
del Talmud contro il parere del padre e andò a vivere a New York per diventare pittore, portando con sé
la macchina fotografica che la madre gli regalò a 12 anni.
Nel 1952 acquistò un appartamento nel East
10th Street di Manhattan e non si mosse mai da là, fino alla sua
morte nel 2013. È considerato uno dei principali esponenti della scuola di
fotografia di New York degli anni '40 e '50, con Diane Arbus, Robert Frank,
William Klein, Richard Avedon.
Il suo rapporto con la pittura è
imprescindibile, e non ha mai smesso di alternare le due forme di arte, con un
amore dichiarato e profondo per gli impressionisti, per Degas, Renoir, Bonnard,
Matisse, a cui si è ispirato, e per l'arte giapponese, come è ben raccontato da
un saggio breve di Pauline Vermare alla fine del libro: “The New York Nabi”.
Dal mio punto di vista, credo, che pochi
altri fotografi al mondo io potrei definire “romantici” come per lui: le sue
fotografie di New York sembrano sempre ovattate, prive di suoni, come immagini
di film al rallentatore. Anche nelle scene di vita quotidiana urbana, nel
traffico, tutto accade con grazia, ogni gesto o parola è attenuato dalla neve o
dalla pioggia.
“Non è dove
si trova o che cosa che è importante,
ma come lo
vedi.”
(Saul Leiter)
“Mannequin”, 1952 |
E poi il colore, che colore! È riconosciuto come uno dei maestri del colore – e in questo il suo gusto pittorico è fondamentale. Più che fotografie sembrano acquarelli, in cui spicca predominante il rosso, come un cuore che pulsa nelle esistenze delle persone che camminano nella strada, o si riparano sotto i suoi amati ombrelli, bevono un caffè al bar o aspettano al semaforo per attraversare.
Saul Leiter è là, seduto dietro una vetrina
appannata dall'umidità e dalla pioggia, a spiare queste vite che scorrono al di
fuori come un fiume d'inverno, e a dipingerle con inquadrature taglienti, molto
spesso in verticale (un formato poco usato in fotografia).
“Una
finestra coperta di gocce di pioggia
mi interessa
più di una fotografia di un personaggio famoso.”
(Saul Leiter)
“Horn & Hardart”, 1959 |
Anche il suo rapporto con la notorietà è
intrigante. Lui lo afferma espressamente, il suo desiderio è quello di non
essere riconosciuto, non è essere importante che gli interessa. Ed è
sufficiente vedere il documentario per capirne la sincerità. Ad osservarlo in
azione sembra quasi un pensionato con l'hobby della fotografia, quasi un homeless,
trasandato nei vestiti, bonario, un docile nonno con la piccola fotocamera in
mano.
Mi tornano in mente tanti fotografi che ho incontrato in tutti questi anni, armati con tre, quattro macchine fotografiche appese ai ganci al corpo, con zainetti carichi di obiettivi, visibili lontani un miglio quasi ci fosse un'insegna luminosa su di loro: “Sta arrivando il super fotografo”, con l'ego come logo per gli abiti perfetti per l'occorrenza.
“Tutto è una
foto...
viviamo in
un mondo oggi
dove quasi tutto
è una fotografia.”
(Saul Leiter)
Bene, Saul Leiter è completamente
l'opposto, è la sobrietà al servizio dello stile; ed è per questo, forse, che
non è tra i fotografi più citati e conosciuti al mondo, ma ho trovato che è tra
i preferiti in assoluto di pochi estimatori. Anche i suoi libri non sono facili
da reperire.
Ed è un peccato.
Perché in questi tempi dove l'apparenza è una prerogativa della fama, e dove tutto si brucia velocemente al ritmo di “likes” e condivisioni sui social network, vedere come lui si muove, fotografa, sorride gentile seduto su di una panchina dà la dimensione di cosa dovrebbe essere veramente l'arte: quel mistero sulla vita che solo in pochi sono in grado di mostrarci, sollevando quella patina di quotidiano che ci impedisce di vedere la sua vera bellezza, distratti da tanti movimenti esagitati e parole gridate di troppo.
Sobrietà, stile, bellezza, sentimento.
Tutto ciò è Saul Leiter.
“Paris”, 1959 |
Leiter:
Ci sono cose che sono all'esterno e ci sono cose che sono nascoste, e la vita
ha più a che fare, il mondo reale ha più a che fare con ciò che è nascosto,
forse. Che ne pensi?
Regista (off-camera):
Potrebbe essere vero.
Leiter:
Pensi che sia vero?
Regista:
Potrebbe essere.
Leiter:
Potrebbe essere molto vero. Ci piace fingere che ciò che è pubblico sia la
globalità del mondo reale.”
(da “In No Great Hurry: 13 Lessons in Life with Saul Leiter.”)
Saul
Leiter: “All About Saul Leiter” (Thames & Hudson, 2018)
Saul Leiter: “In My Room” (Steidl, 2018)
'In No Great Hurry:13 Lessons in Life With Saul Leiter' Trailer | Moviefone
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